Pensieri

Trovo che vicario sia una parola molto interessante, soprattutto perché descrive il comportamento di un numero enorme di persone.

Vivere la vita vicariamente significa viverla non in prima persona, direttamente, bensì in maniera partecipata: tramite qualcun altro. Alle esperienze di vita di questo “qualcun altro” il vicario partecipa tenendosi qualche passo indietro -a distanza di sicurezza- ma comunque abbastanza vicino da poterne osservare le avventure.

Un esempio straordinariamente diffuso sono i genitori che vivono la vita vicariamente tramite i propri figli. E’ facilissimo individuarli sui social network perché spesso come foto del profilo personale impostano -anziché una foto di se stessi- una foto di se stessi assieme ai figli, o addirittura dei figli soltanto. Non vedono nemmeno più se stessi come entità separate: si identificano completamente con i figli. Se in una conversazione chiedi loro “come va” o “ci sono novità”, passano velocemente a raccontarti di come stanno i figli, o di cosa stanno facendo i figli. Le gioie, le preoccupazioni, le esperienze più significative della vita riguardano i figli, dai quali vengono ricavate tutte le soddisfazioni e le insoddisfazioni.

Questo comportamento, cioè al momento in cui si fanno figli trasferire su di essi ogni progetto e contemporaneamente smettere di provare a realizzare qualunque progetto proprio, è talmente diffuso che è quasi considerato “normale”. Ma purtroppo questa concezione della genitorialità, come parassitaggio della vita dei figli, è la ricetta perfetta per l’infelicità: sia dei figli che dei genitori.

Un secondo esempio di comportamento vicario estremamente rilevante è dato da chi guarda molti film e serie televisive. Creare situazioni interessanti nella vita vera spesso richiede una certa dose di lavoro, per cui si preferisce provare l’eccitazione di una caccia al tesoro dal comfort di una sala cinematografica, o partecipare al flirt tra due attori attraenti dal divano di casa, magari senza doversi preoccupare troppo di tenersi in forma.

L’approccio e la motivazione sono esattamente gli stessi del caso precedente: i genitori vicari mandano avanti i figli per poi farne da spettatori, in questo caso si mandano avanti gli attori e di questi, ancora più propriamente, si fa da spettatori.


Ci ho messo un po’ ad avere chiaro perché molti adepti dello sviluppo personale -sia i “guru” che i “praticanti”- non mi convincono, e questo nonostante le idee che discutono spesso sono effettivamente molto valide.

Il motivo è che mi sembra che si concentrino troppo sui metodi, ad esempio “come stare in forma” o “come generare reddito passivo”, così tanto da perdere di vista che questi metodi servono soltanto a creare i mezzi per raggiungere uno scopo, ma non sono essi stessi lo scopo.

Mentre molti appassionati di sviluppo personale si concentrano in eterno su come stare in forma, come raggiungere l’indipendenza economica, come sviluppare la creatività, c’è gente che i metodi per stare in forma, avere libertà economica, sviluppare la creatività li applica già in modalità “pilota automatico”, senza né discuterne tanto né quasi ricordarsene, ma poi fa anche il passo successivo: utilizza lo stare in forma, la libertà economica e la creatività per produrre cose nel lavoro che fa.

Ad esempio, spulciando la pagina Wikipedia di molte persone di successo, attori, atleti, musicisti, imprenditori, saltano spesso fuori certe informazioni ricorrenti: prestano molta attenzione alla dieta, fanno esercizio fisico regolarmente, praticano yoga o meditazione, non spendono 40 ore in ufficio in cambio di uno stipendio ma al contrario, anche se lavorano in settori particolari (ad esempio gli attori), spesso hanno attività imprenditoriali “di lato”, e via dicendo.

Eppure raramente nelle interviste perdono troppo tempo a parlare di queste pratiche, per loro non rappresentano altro che routine necessarie, che fanno per mettersi nelle condizioni di fare un buon lavoro -in qualunque settore essi lavorino-.

Questo per dire che anche se apprezzo molto l’attitudine e le idee di parecchie persone nel settore dello sviluppo personale (settore in cui io “sguazzo” parecchio) più vado avanti e più tendo a prendere come riferimento non loro, bensì direttamente quelle persone di successo che già canalizzano i risultati del loro sviluppo personale nel lavoro. Quindi non tanto il guru della forma fisica, quanto l’atleta che usa la forma fisica nello sport. Non tanto il guru che “parla” di creatività, quanto il regista che la creatività la mette nei suoi film. E così via.


Ho notato che per molti adulti imparare a oltranza cose nuove, senza uno progetto preciso, costituisce una scappatoia rispetto a fare.

Me ne accorsi la prima volta al termine dell’università, notando tra i colleghi studenti -che come me si erano appena laureati- la tendenza a insistere, a voler studiare ancora. Dottorato, master, esami di stato, corsi di specializzazione. Alcuni addirittura ricominciavano tutto, per prendere una seconda laurea. Mi sembrava che solo pochi di quei ragazzi lo facessero seguendo una strategia precisa, per diventare docenti accademici. Gli altri parevano semplicemente voler mantenere lo status di “studenti” il più a lungo possibile, rimandando il momento del fare.

Sono passati molti anni, eppure questa tendenza a voler restare “studenti” la vedo ancora tra moltissimi adulti: coetani 35 enni, ma anche adulti ben sopra i 40 e 50 anni.

Un caso molto comune che noto oggi, ad esempio, è quello di imparare una lingua straniera. Mi vengono in mente diversi amici e conoscenti adulti che in questo periodo stanno studiando chi il francese, chi lo spagnolo, chi il cinese, chi il tedesco. Quasi nessuno di loro ha effettivamente un progetto a riguardo: “studio il francese perché voglio esportare prodotti in Francia”, ma ha la vaga motivazione “è pur sempre una conoscenza in più” e “non si sa mai potrebbe tornare utile”.

Questa filosofia mi sembra insensata -visto che per studiare si spendono risorse (tempo e impegno) che senso ha spenderle per sapere qualcosa che probabilmente non avrà mai effetti pratici sulla vita?- e soprattutto mi sembra sospetta: temo che si utilizzi l’imparare a oltranza, da adulti, come scappatoia per raccontarsi che si stiano facendo dei progressi nella vita… mentre in realtà si resta fermi nello stesso punto. Imparare è una scappatoia facile, perché è un’attività che gode di una buona reputazione nella società, è generalmente vista come importante e raccomandabile.

Io credo che arrivi il momento, da adulti, in cui è ora di “invertire il flusso”: smettere di concentrarsi ad assorbire continuamente nozioni nuove, decidere cosa si vuole fare nella vita, e farlo.

Farlo spesso significa ben altre cose che trastullarsi a imparare nozioni. Significa mettere in pratica quello che si sa già. Significa trovare il coraggio di lasciare il lavoro che si odia per iniziare a fare l’altro che si sa essere quello giusto. Per uno scrittore può significare la disciplina di mettersi ogni giorno al computer tot ore a lavorare, senza distrarsi coi social network. Per un atleta può significare la disciplina di allenarsi in palestra quotidianamente, e ripetere ogni giorno la scelta di rinunciare al cibo processato a favore di quello salutare.

In effetti forse sono solo queste due, le cose che davvero ci farebbe bene imparare da adulti: il coraggio e la disciplina.


Ci ho messo tanto tempo a capire in cosa consiste la meditazione, ma finalmente credo di esserci arrivato.

In effetti penso che sull’argomento ci sia molta confusione, cosicché molte persone “credono” di meditare, mentre in realtà stanno facendo altro. Dopo aver fatto anch’io parecchi tentativi maldestri in passato, oggi credo di averne capito abbastanza da poter fornire la mia interpretazione.

Meditare significa essere qui e adesso, un concetto che ormai è piuttosto famoso. Il problema con il qui e adesso è che è uno stato dannatamente difficile da sostenere. Lo vedevo nei miei tentativi di meditazione in passato. Sgombravo la mente da pensieri inutili e finalmente iniziavo ad assorbire la realtà intorno: il verde delle piante, il rumore dell’insetto che volava dietro di me, il rombo di un’automobile lontana. Ma tempo pochi secondi e mi ero già perso nei pensieri un’altra volta: che cosa mangio stasera a cena? …domani devo scrivere al commercialista… E così via.

Ogni volta, quando ritornavo qui e adesso accorgendomi che mi ero appena perso a fare una scampagnata tra i pensieri, la prendevo come una sconfitta, e lasciavo perdere per la frustrazione. Finché ho capito che invece è proprio questo il meccanismo pratico della meditazione.

Perdersi spesso nei pensieri è inevitabile per una mente poco allenata. E la mente è sempre all’opera a proeittarci pensieri inutili: ruminamenti di eventi passati, anticipazioni di eventi futuri, appiccicare etichette a qualunque cosa vediamo.

Ma il gioco è proprio, una volta che ci si è persi in questi pensieri, accorgersene e ritornare qui e adesso. Perdersi e ritornare qui e adesso. Perdersi e ritornare qui e adesso. Perdersi e ritornare qui e adesso. Tante volte, in modo simile a quando alleniamo i muscoli in palestra. Ho sentito fare questo paragone al giornalista Dan Harris, e mi è sembrato azzeccatissimo.

In palestra alleniamo i muscoli, facendo tot ripezioni sollevando i pesi. Nella meditazione alleniamo la mente, ritornando tot volte qui e adesso dopo esserci persi nei pensieri. Io oggi la meditazione la intendo e la pratico così, con lo stesso spirito con cui vado in palestra.


Sempre a proposito di mente, qualche tempo fa discutevo di temi “spirituali” con un amico, al quale ho fatto la seguente domanda: secondo te qual’è la differenza tra coscienza e mente?

Anche se in quel periodo cominciavo ad essere abbastanza familiare con i due concetti, tendevo ancora a confonderli, per questo gli chiesi un parere. La sua risposta fu semplice: secondo lui la mente è una creazione della coscienza. Su queste sue parole ho poi riflettuto diverse volte, e in effetti adesso mi sembra ovvio che sia proprio questa la differenza.

Secondo questa concezione quindi, la coscienza è un concetto “più grande” e la mente un concetto “più piccolo”. La coscienza ha creato la mente come uno strumento che ci ha messo a disposizione, un po’ come il corpo fisico, con la differenza però che la mente è impalpabile.

Anche se forse per molti questa rivelazione è una banalità, credo che per me sia stato molto utile vedere questa struttura triangolare: coscienza sopra, corpo e mente sotto, come strumenti “parimerito” a disposizione.

Mi è molto utile soprattutto per quanto riguarda la mente, della cui presenza mi sono spesso scordato in passato (e mi scordo ancora): sia per il fatto che è impalpabile, sia per il tipo di educazione che ho ricevuto, sia per il tipo di società in cui vivo.

Ricordandomi che la mente c’è mi ha fatto venire voglia di studiarla e informarmi su di essa, e questo mi ha fatto arrivare a concetti interessanti, ad esempio l’idea che esista una mente individuale ma anche una mente collettiva. All’atto pratico invece mi ha fatto venire voglia di allenarla, da qui appunto l’avvicinamento alla meditazione.

Manco a dirlo, dopo una certa quantità di allenamento, ad oggi la mia mente è ancora un bel casino (ho il sospetto che lo sia per molti però), ma sono fiducioso che anche lei metterà su qualche addominale prima o poi.


Note: Il libro da leggere per capire il concetto di qui e adesso è Il potere di adesso di Eckhart Tolle.

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