La funzione del lavoro è cambiata profondamente negli ultimi tempi: oggi non è più quella di produrre risorse, bensì quella di controllare l’accesso alle risorse. Incredibilmente, sembra che molti ancora non se ne siano accorti.
Lavoro improduttivo
Ogni giorno un fiume di impiegati si riversa nel traffico, e poi si chiude 8 e più ore in ufficio… però non sta producendo praticamente nulla. Una minima parte di questi lavoratori, certo, produce davvero risorse utili. Magari crea applicazioni tecnologiche innovative, o fa ricerche in campo scientifico o alimentare.
Ma sfortunatamente questa minima parte è sovrastata, schiacciata da un’enorme massa di impiegati che, in ore di fuffa davanti ai computer, non produce alcun valore concreto per la società. Di questa massa ho fatto parte anch’io, e fanno attualmente parte molti miei parenti e amici, per cui la sensazione frustrante di “non aver prodotto niente” alla fine di una giornata in ufficio la conosco bene.
Perché succede questo? La causa sono i lavoratori, che sono troppo pigri e demotivati, e che quindi in tante ore di lavoro non producono niente degno di nota? In realtà, solo in minima parte. La causa principale dell’ improduttività non sono i lavoratori, la causa è proprio il lavoro stesso: è concepito male, e soprattutto non serve.
Il lavoro è concepito male
Sul fatto che il lavoro moderno sia concepito male ho già scritto, per cui qui sarò molto breve.
Il problema è che insistiamo a usare un modello di lavoro dell’epoca industriale, obsoleto, che poteva andar bene un tempo, in cui un operaio messo al tornio per 8 ore a muovere la manovella, passava effettivamente 8 ore a muovere la manovella. Ma questo modello si continua ad utilizzare oggi, e applicato al lavoro intellettuale, di concetto, non funziona. Non ripeterò mai abbastanza che l’idea di portare avanti un lavoro intellettuale per 8 e più ore al giorno è irrealistico.
C’è l’ostinazione a vincolare il lavoro al tempo che il lavoratore passa effettivamente a lavorare, come se ai clienti che comprano un bene/servizio importasse qualcosa di quante ore è stato necessario lavorare per produrlo. Questo vincolo non ha molto senso, per un numero sempre crescente di lavori. Quello che ha senso, invece, è vincolare il lavoro al valore che viene creato e distribuito ai clienti.
Il lavoro non serve più
Ma c’è qualcosa di ancora più interessante: il fatto che il lavoro sia improduttivo, in realtà, non è un problema. So che questa affermazione sembra controintuitiva, eppure bisogna considerare che siamo arrivati a un punto, nella storia, in cui non abbiamo bisogno di aumentare la produzione di risorse, perché le risorse ci sono già per tutti. Anzi, ce ne sono decisamente troppe.
Ad esempio in termini di cibo. Attualmente siamo oltre 7 miliardi di persone sul pianeta, ma produciamo cibo per sfamarne 12 miliardi. Quindi produciamo troppo cibo e lo buttiamo via, riuscendo comunque, nel frattempo, a far morire di fame milioni di persone (in Africa e altri paesi poveri). Lo spreco della risorsa cibo è stato messo in numeri da uno studio di qualche anno fa, che ha evidenziato come una percentuale tra il 30 e il 50% del cibo prodotto sul pianeta non raggiunga mai uno stomaco umano. E senza dover consultare i numeri, lo vediamo bene “a occhio” nelle nostre case e nei supermercati: si butta tanto, si butta troppo.
E che dire del cibo per la mente? Anche di questo ce n’è tantissimo, infinitamente di più di quanto la società attuale sembra desiderare. Gli scaffali delle librerie contengono tantissimi libri grandiosi, ma di questi libri gran parte delle persone non ne leggerà nessuno, o al massimo solo una manciata, in una vita intera. Ci sono molti più documentari e film interessanti di quanti la persona media vedrà mai, e il mondo è pieno di posti meravigliosi (con bellezze naturali e artistiche da togliere il fiato), ma di questi posti la persona media non ne vedrà che una frazione microscopica in tutta una vita.
Il mio recente articolo “Roma vs Barcellona” infatti, è nato dal mio stupore nel constatare come la mia città, Roma, sia piena di posti straordinari, eppure gran parte delle persone che conosco -molte delle quali residenti a Roma stessa e dintorni-, non li ha mai visti, e anzi nemmeno sa che esistono. Passano gran parte del loro tempo a lavorare (improduttivamente) e di conseguenza non hanno molto tempo residuo per “consumare” le risorse artistiche della città.
Un altro esempio è quella della risorsa casa. Spesso si discute dei problemi di chi la casa non ce l’ha, e che si ritrova a vivere in strada, o delle famiglie numerose che vivono ammassate in un paio di stanze. Eppure raramente si fa notare che nelle città e nei paesi ci sono tantissime case vuote, inutilizzate. Case in cui non abita nessuno, e che non vengono nemmeno messe in affitto dai proprietari.
Questi sono pochi esempi, eppure già dovrebbero rendere evidente una cosa: la verità è che oggi esiste una sproporzione tra la quantità enorme di risorse che l’umanità ha a disposizione (cibo, case, arte, conoscenza, forme di intrattenimento…), e la quantità di queste risorse che viene effettivamente consumata: ne viene consumata solo una parte, a volte solo una parte ridicolmente piccola.
Per questo motivo i mantra ripetuti spesso da politici e media, “bisogna produrre di più” e “bisogna crescere”, sono una sciocchezza. Perché preoccuparsi di produrre più risorse, se l’umanità già adesso ha a disposizione un patrimonio immenso di risorse, di vario genere, che non usa?
Non ha molto senso questo fiume di lavoratori che corre ogni giorno tra il traffico e l’ufficio. Non solo il loro lavoro è condannato già dalla partenza ad essere improduttivo, proprio perché come ho accennato sopra segue un modello obsoleto e assurdo, ma addirittura non ha nemmeno bisogno di esserlo, produttivo, perché l’umanità non ha bisogno di più risorse.
Tutto questo lavoro non serve più. Non a produrre almeno, visto che la funzione originaria del lavoro è ormai decaduta.
Eppure si continua a lavorare
Già, eppure si continua a lavorare, e anche tanto. Il serpentone si attiva tutte le mattine. Sveglia, un caffè bevuto di corsa, i nervi per il tempo trascorso nel traffico, e poi ore e ore chiusi in ufficio, di cui solo una parte a produrre qualcosa di utile, e l’altra a perdere tempo in attività insignificanti. Tutto questo “qualcosa” dovrà pur fare. Una qualche funzione, tutto questo lavoro, dovrà pur averla. E infatti ce l’ha.
La funzione è diventata quella di controllare l’accesso alle risorse.
Il fatto che le risorse esistano in grande abbondanza, infatti, non è certo garanzia che tutti riescano ad accedervi, tutt’altro. Oggi ad esempio moltissime persone non possono permettersi di mangiare cibo sano, di possedere una casa, di aumentare le proprie conoscenze tramite libri e documentari, di esplorare il mondo. E se non possono permetterselo è perché c’è qualcosa che glielo vieta: è proprio il loro lavoro.
È a causa del lavoro che le persone tornano la sera stanche a casa, e non hanno energia mentale per leggere un libro o guardare un documentario, per cui finiscono a guardare i telequiz in televisione.
È a causa del lavoro che le persone non hanno tempo e voglia di cucinare cibo salutare, che di solito richiede più tempo per essere reperito e preparato, per cui finiscono a mangiare cibi confezionati industriali, altamente processati.
È a causa del lavoro che le persone “non hanno le ferie” per potersi allontanare dalla propria città per viaggiare qualche mese per il mondo, per cui finiscono a doversi accontentare di 2-3 settimane di libertà all’anno, d’estate, in cui ovviamente tutto è più costoso: voli aerei, pernottamenti in hotel, intrattenimenti vari.
È a causa del lavoro che le persone restano disinformate, troppo svuotate fisicamente e mentalmente la sera da aver voglia di cercare informazioni alternative a quelle dalla televisione mainstream, e non vedono che sono proprio i politici e i capi delle corporazioni a decidere che le risorse vengano buttate, piuttosto che rese accessibli a chi ne ha bisogno.
Ad esempio, il motivo per cui molti proprietari di case preferiscono tenere le loro abitazioni chiuse e non affittate, piuttosto che metterle a disposizione, è che il governo rende sconveniente affittarle. Tra le tasse altissime e il nessun supporto in caso di infrazioni da parte degli inquilini, si è creato un sistema in cui è spesso preferibile lasciare la risorsa casa inutilizzata, piuttosto che metterla sul mercato.
Questa non è che una delle tante situazioni paradossali moderne, eppure di queste situazioni moltissimi lavoratori nemmeno se ne accorgono, proprio perché troppo assorbiti dal lavoro per farsi qualche domanda sulla realtà che li circonda.
Tenere occupate e distratte le persone, questa è diventata ormai la funzione predominante del lavoro, visto che la vecchia funzione produttiva si è praticamente estinta. Siamo arrivati a un grado di sviluppo in cui le risorse essenziali, quelle di cui la gente ha concretamente bisogno (cibo, casa, vestiti, medicinali e poco altro) vengono già prodotte da una piccola frazione della popolazione mondiale per tutti gli altri, in grande abbondanza, grazie al supporto delle macchine.
Tutto il resto dei lavoratori invece, il serpentone che tutti i giorni corre tra traffico e ufficio, è per lo più dedito a lavori superflui, poco produttivi, utili ad auto-alimentare il serpentone stesso. Dall’industria bancaria, all’industria farmaceutica (in gran parte), alle corporazioni alimentari del cibo processato, ai vari uffici pubblici, non è certo sorprendente che i lavoratori tornino a casa la sera non riuscendo a reprimere la sensazione di “non aver concluso niente”: il fatto è che non c’era proprio nulla da concludere!
Tutto quello che c’era da fare in realtà, era tenersi occupati e distratti. E a questo il loro lavoro ci ha pensato egregiamente.
I vantaggi della disoccupazione
Se aprite gli occhi, vi accorgerete che oggi le persone che hanno più difficoltà ad accedere alle risorse, quelle che ad esempio faticano di più a comprarsi una casa, o semplicemente a mantenere uno stile di vita salutare, sono proprio le persone che passano più tempo nel serpentone. Quelle che si tengono stretto il posto di lavoro, e che lavorano molte ore.
A queste persone viene ripetuto che “il lavoro è la soluzione” dei loro problemi, che lavorando di più si avvicineranno di più alle risorse che desiderano. E invece è vero esattamente il contrario: è proprio il loro lavoro che le tiene lontane dalle risorse. Il lavoro è il problema. Ad esempio, sono proprio tutte quelle ore di lavoro che tolgono alle persone la voglia di scoprire che cos’è il denaro, come viene prodotto, da chi, come funziona, togliendo loro di conseguenza la possibilità di imparare a guadagnarne di più.
Nonostante si continui a ripetere ovunque, senza applicare un ragionamento critico, che “c’è bisogno di lavoro” e che “bisogna aumentare l’occupazione”, io credo che oggi la società intera trarrebbe dei grossi benefici se aumentasse, di parecchio, la disoccupazione. Poiché moltissimi lavori che vengono svolti sono improduttivi e sterili, o magari lo sono, produttivi, ma producono comunque un eccesso di risorse che viene poi buttato, non ci sarebbero certamente danni se questi lavori sparissero.
Ci sarebbero invece molti vantaggi: le persone avrebbero più occasioni di guardarsi intorno, informarsi, avere una visione più completa della realtà in cui vivono. Potrebbero prevenire le malattie grazie a un’alimentazione naturale e uno stile di vita poco stressante, anziché curare le malattie dopo che si sono manifestate. Potrebbero dedicarsi alla ricerca, all’arte, allo studio. Tutte attività, queste, che accelererebbero lo sviluppo della società, piuttosto che la sua “crescita”.
Perché, è importante sottolinearlo, è lo sviluppo che fa bene a una società, non la “crescita”. La crescita infinita, su un pianeta con risorse finite, non ha senso. È solo uno slogan vuoto che ripetono i politici per mandare avanti questo sistema basato sul lavoro improduttivo, dei cui effetti (la generale disinformazione della popolazione) beneficiano solo loro stessi e pochi altri appartenenti ad elite di corporazioni e media.
Il futuro è della disoccupazione
Voglio cercare di rispondere a una domanda interessante: come evolverà il lavoro in futuro? Si lavorerà tante ore come oggi?
Lascio che a rispondere sia questa foto, che ho fatto di recente nell’aereoporto di Barcellona. È uno dei bar che vendono bevande e panini ai viaggiatori. Alla cassa non c’è piu solamente la cassiera umana che gestisce il pagamento da parte dei clienti. No: tra la cassiera umana e il cliente si è inserito un robot, bello corpulento tra l’altro. Il cliente quindi non paga più direttamente alla cassiera umana, ma mette i soldi dentro l’intermediario robot, e dal robot stesso riceve il resto.
Ho trovato buffo come la cassiera umana fosse quasi sepolta dietro l’ingombrante robot, e mi sono chiesto quanto tempo passerà prima che sparirà del tutto da lì dietro, lasciando che sia il robot da solo a gestire la transazione, in maniera completamente indipendente. Non molto, probabilmente.
Infatti, anche se il lavoro di cassiere oggi è ancora svolto per la maggior parte dalle persone, non è certo azzardato prevedere che in futuro sarà svolto quasi esclusivamente dalle macchine. La tendenza è già evidente adesso nei supermercati, dove c’è una frazione sempre crescente di casse automatiche che sostituiscono le casse dotate di operatore umano.
Per quanti tipi di lavori umani è in atto la stessa tendenza? Moltissimi: essenzialmente tutti quelli manuali, o che richiedono solo una capacità logica minima, come è fare i conti. Per altri lavori invece il passaggio di consegne deve ancora cominciare. Nel settore dell’edilizia, ad esempio, attualmente gli edifici si costruiscono ancora con molto lavoro umano da parte dei muratori, ma non è difficile immaginare che a breve anche il lavoro del muratore sparirà, e che le case verranno “stampate” con tecnologie come quella delle stampanti 3D.
Nel passato abbiamo visto l’estinzione progressiva di molti lavori umani, a ritmo continuo, e credo che questo ritmo continuerà naturalmente in futuro. I lavori che maggiormente spariranno saranno qualli manuali, mentre quelli con più alta probabilità di sopravvivenza saranno i lavori creativi e artistici, in cui l’umano ha un incolmabile vantaggio sulle macchine. Ed è proprio in questi tipi di lavori che quello che conta è il valore: le idee, gli spunti, l’ispirazione, la passione. Tutte cose che hanno poco a che fare con le ore passate dentro un ufficio.
Nonostante molte persone che svolgono lavori non creativi tendono ad avere paura del cambiamento, opponendosi all’idea che il loro lavoro non serva più (perché svolto in maniera più efficiente e produttiva dalle macchine), l’aumento della disoccupazione è naturale e fisiologico. Ha perfettamente senso che in futuro le persone lavoreranno per molte meno ore a settimana di quanto si faccia adesso.
Uno scenario futuro, verso cui possiamo dirigerci, è quello in cui ancora di più le macchine si occuperanno di produrre le risorse essenziali per le persone, mentre le persone si concentreranno su attività mirate allo sviluppo, come arte, scienza e ricerca. Uno scenario in cui il vincolo lavoro-reddito sia molto debole, e in cui ovviamente chi vorrà potrà lavorare anche tantissime ore a settimana, ma lo farà per passione, e non perché costretto dal sistema finanziario.
Verso questo scenario ci stiamo già dirigendo, ma in maniera incredibilmente dolorosa, a costo dell’enorme stress che moltissimi lavoratori immersi nel serpentone provano ogni giorno, e a costo del loro non poter accedere alle risorse proprio perché troppo occupati a lavorare (improduttivamente) per potervi accedere.
Capire che tutto questo lavoro, ormai, ha quasi esclusivamente la funzione di controllo sociale, di regolare l’accesso a risorse già esistenti in abbondanza, è un passo essenziale per facilitare il percorso. Aver letto questo articolo dovrebbe averti dato una mano a farlo.
Note: Lo studio citato sullo spreco di cibo è “Global food – Waste not, want not” condotto da imeche.org.
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