Il lavoro nel futuro: umani o robot?

Una questione affascinante su cui riflettere è: chi lavorerà nel futuro, umani o robot?

I robot prenderanno in carico quasi tutti i lavori? E in questo caso, che cos’altro faranno gli umani durante il giorno, con tutto il tempo libero a disposizione? Oppure lo scenario non cambierà granché: seppure in una società più robotizzata gli umani continueranno comunque a lavorare gran parte del tempo?

Ai due diversi scenari corrisponde il cambiamento, o il mantenimento, del concetto stesso di lavoro e di alcune strutture, soprattutto il sistema del denaro e la produzione di energia. Facile capire che se cade la necessità di guadagnare denaro, e se cade la necessità di pagare l’energia, più facilmente cade anche la necessità di lavorare.

Voglio provare ad analizzare le due possibilità. Sulla prima posso offrire un punto di vista personale, considerando che mi ritrovo già a viverla: non ho un lavoro e ho tantissimo tempo libero. In questo caso c’è da valutare cosa succederà se la percentuale di persone che vivono come me, oggi una minoranza, aumenterà in futuro. Preferisco però partire dallo scenario più familiare e quindi semplice da immaginare: quello in cui gli umani continueranno a lavorare gran parte del tempo.

Gli umani continueranno a lavorare

Che la tecnologia continuerà comunque a svilupparsi mi sembra ovvio, per cui inevitabilmente continuerà la tendenza che va avanti ormai da un po’: cioè gli umani continueranno ad essere sostituiti progressivamente dai robot nel lavoro, visto che i robot in gran parte dei casi sono più precisi ed efficienti.

Per molte persone che hanno provato a prevedere il futuro, questo argomento è significato automaticamente che arriverà il giorno in cui l’umanità sarà liberata dal lavoro. Ma io non sono certo di condivire questo ottimismo. Mi sembra invece da non sottovalutare la possibilità che, man mano che i lavori umani passeranno di mano ai robot, sempre più lavori falsi verranno inventati per tenere occupati gli umani.

Con lavori falsi intendo lavori improduttivi, che non generano risorse concrete, o lavori superflui, che generano risorse in eccesso che poi vengono buttate via. In effetti tanti lavori di entrambe le tipologie esistono già adesso, e tengono occupata l’umanità già adesso. Per cui quello di cui sto parlando non è altro che una continuazione del fenomeno già in corso, che potrebbe sopravvivere e amplificarsi.

Oggi esempi molto evidenti di lavori improduttivi si vedono nel settore bancario e politico, mentre dei lavori superflui ne è diventato testimonianza internet, che ormai è decisamente ultra-saturo, perché inondato ogni giorno da nuovi contenuti creati da plotoni di giornalisti e autori, contenuti che però raggiungono un pubblico sempre più microscopico. Anche molte scuole odierne sono fabbriche di lavori superflui, dedicati a fornire agli studenti tante conoscenze che non useranno mai -quindi le butteranno via– in età adulta.

È plausibile che il futuro presenterà un quadro in cui, seppure nel contesto di una grande abbondanza di risorse generata da robot ancora più avanzati ed efficienti di quelli attuali, gli umani continueranno comunque ad avere pochissimo tempo libero, perché molto occupati in lavori inventati… appunto allo scopo di tenerli occupati.

Ci si può chiedere: lavori inventati da chi? Un complottista probabilmente risponderebbe “dal sistema”, e non c’è certo dubbio che il sistema trae beneficio dall’avere la maggioranza delle persone impegnata a lavorare, con poco tempo libero. In questo modo si ha una massa più ignorante e stanca, facile da manipolare. Io però credo che per lo più siano le persone stesse a tendere verso questi lavori inutili, senza troppa necessità di una qualche “agenda segreta” che ce li spinga.

Per capirne il motivo basta osservare come si comportano le persone quando hanno tempo libero: la maggior parte, in effetti, non è per niente a suo agio con il tempo libero.

Il tempo libero è interruttore che può causare un aumentato livello di coscienza, e un alto livello di coscienza spesso è difficile da sostenere: nascono domande a cui è durissimo rispondere, nascono tante incertezze. È per questo motivo che spesso le persone, quando non lavorano, fanno un lavoro sistematico proprio per abbassare il livello di coscienza: mangiando cibo spazzatura, guardando la televisione, facendo shopping, bevendo alcool.

In aggiunta a questa tendenza spontanea, come anticipato sopra, due fattori determinanti sono il denaro e l’energia. Se perdura un sistema finanziario simile a quello attuale, molti umani continueranno a trovarsi in una situazione di grande abbondanza di risorse (abbondanza che probabilmente si estremizzerà grazie ai robot), ma a tali risorse continueranno a poter accedere solo tramite il denaro, che quindi cercheranno di guadagnare lavorando. Similmente per l’energia: se non diventerà abbondante e di facile accesso per tutti, gli umani continueranno a lavorare per pagarla.

Inoltre potrebbe nascere tutta una serie di nuovi bisogni artificiali, a cui risponderebbero tanti nuovi lavori artificiali. Qui si può immaginare un numero di scenari più o meno distopici, ad esempio un pianeta in cui nonostante i robot avranno risolto completamente il problema di produrre le risorse essenziali, gli umani saranno comunque assorbiti da una gigantesca industria di intrattenimento, fatta di realtà virtuali e videogiochi, all’interno della quale continueranno a lavorare molte ore a settimana.

L’idea suona abbastanza inquietante, ma in effetti non sarebbe altro che l’acutizzazione di quello che succede oggi. In questo senso si potrebbe dire che il futuro è già adesso. L’unica differenza sarebbe che, se oggi la percentuale lavori reali vs lavori artificiali è qualcosa come 30% vs 70%, in futuro potrebbe sbilanciarsi ancora di più verso i lavori artificiali, e diventare qualcosa come 5% vs 95%. All’interno della piccola percentuale di lavori reali che sopravviveranno in futuro, probabilmente esisteranno quasi esclusivamente i lavori in cui il “fattore umano” (immaginazione, creatività, emozioni) è un vantaggio non sfidabile dall’efficienza robotica.

Riassumento brevemente quindi, in questo primo scenario molti umani continuerebbero a lavorare anche nel futuro, sia per sfuggire al tempo libero o sia perché continuerebbero a credere di dover lavorare. Questo implica che seguirebbero ad adottare il concetto di lavoro che esiste adesso (è “lavoro” se viene retribuito con denaro), e implica che seguirebbero a non accorgersi che lavorare per denaro, in un sistema finanziario simile a quello attuale, è come giocare a un tavolo di poker truccato a proprio sfavore.

Si tratta dello scenario che mi attrae di meno, perché prevede un’umanità futura molto inconsapevole, ma conserva comunque alcuni aspetti positivi, soprattutto per quella minoranza di persone che decideranno di non lavorare. Infatti visto che tutti gli altri saranno occupati a lavorare, per chi avrà più tempo libero ci saranno più opportunità disponibili, meno competizione, meno traffico, meno file, e così via.

Gli umani smetteranno di lavorare

La seconda possibilità consegue a una trasformazione più radicale della coscienza, e credo anche che corrisponda allo scenario più probabile. In effetti, tendo anch’io a dare per scontato che si andrà verso questo scenario nel futuro, se non fosse che la domanda “ma allora perché non è già successo?” mi fa essere cauto. La mia impressione è che una trasformazione avverrà, ma molto più lentamente di quanto prevedono alcuni.

In questa visione, le persone abbandoneranno in massa quello che oggi viene considerato lavoro. Volenti o nolenti, la disoccupazione arriverà per quasi tutti: alcuni abbandoneranno il lavoro consapevolmente e volontariamente, altri invece verranno spinti nella disoccupazione dai robot, da cambiamenti profondi del denaro (magari da fiat a criptovaluta), dagli imprenditori che renderanno l’energia abbondante e accessibile, da governi più piccoli ed efficienti.

Quelli che verso la disoccupazione ci verranno spinti, probabilmente, cercheranno più degli altri di tenere in vita un mercato di lavori falsi, che difficilmente sparirà del tutto. Gli altri però si saranno finalmente arresi all’evidenza: in un mondo altamente tecnologico e abbondante di beni e servizi, prodotti facilmente dai robot e accessibili a tutti, il vecchio concetto di lavoro non ha più senso: la sua motivazione di esistere, semplicemente, è sparita.

Tutte queste persone dunque si ritroveranno di fronte alla stessa questione che io ho già affrontato qualche anno fa, quando ho abbandonato il mio impiego: che cosa faccio durante il giorno? Fino ad oggi, per molte persone questa domanda probabilmente suonerebbe addirittura come minacciosa: la collegherebbero immediatamente alla domanda come farei a evitare la noia?. È da qui infatti che parte la ricerca di distrazioni, di attività che “tengano occupati” (quali sono ormai molti lavori esistenti).

Che succederà però nel futuro, se le persone ci guarderanno dentro a questa noia, anziché cercare di evitarla con l’intrattenimento? In effetti, se i lavori falsi avranno perso qualunque credibilità come opzione di riempi-tempo parziale, estendere le finzioni televisive e i videogiochi a tutto il tempo potrebbe farsi sentire come insoddisfacente per molte persone. Anche viaggiare nel mondo reale, un’attività che molti fantasticano di fare “se non fosse per il lavoro”, se fatto continuamente potrebbe non riuscire a scacciare la sensazione di mancanza di scopo.

Che cosa faccio con il mio tempo? è una questione difficile -persino esistenziale– visto che inevitabilmente fa nascere altre domande in catena: che cosa faccio con la mia vita? e quindi qual’è il senso della vita? In faccia a quest’ultima domanda potrebbero ritrovarsi a guardare in tantissimi nel futuro, molti più di oggi. E dalla gran varietà di risposte che giungeranno, il pianeta e la società potranno davvero trasformarsi in modi imprevedibili.

È possibile che, dopo svariate riflessioni, molte persone giungeranno a una conclusione simile a quella a cui sono giunto io: a meno di vivere la vita aspettando che si manifesti una qualche “divinità” o “autorità superiore” a rivelarci un senso della vita universale, che vale per tutta l’umanità (cosa che forse, probabilmente, non avverrà mai) è bene che ce lo assegnamo da soli, individualmente, un senso alla nostra vita. Il senso che scegliamo è proprio il senso della vita, quello “giusto”.

Tale scelta sarà cruciale per decidere se anche nel futuro noi umani continueremo a fare qualcosa durante il giorno, piuttosto che diventare una specie quasi del tutto inattiva, imboccata dai robot. Chi si sarà preso il tempo per decidere come usare la propria vita, avrà la motivazione per svolgere delle azioni.

A questo punto però, tali azioni faranno parte di un concetto di lavoro del tutto nuovo, profondamente diverso dal precedente, proprio perché profondamente diversa sarà la motivazione che lo genera. La motivazione non sarà più ottenere i “vecchi” beni e servizi, ormai in esubero e poco interessanti, ma sarà un impulso proveniente soprattutto dall’interno, e non più dall’esterno.

A un cambio così sostanziale nella motivazione che genererà il lavoro, conseguirà probabilmente un cambio sostanziale nei campi verso cui tale lavoro si indirizzerà. Difficile immaginare, in effetti, che in uno scenario in cui il lavoro sarà altamente facoltativo e gli umani decideranno di farlo a seguito di un processo di introspezione, gli sforzi verranno impiegati per produrre souvenir o educazione irrilevante. Possibilmente a ricevere una forte spinta saranno campi nuovi come la sperimentazione genetica, l’esplorazione spaziale, e soprattutto la ricerca sul funzionamento della mente.

Questo che descrivo qui, quindi, è uno scenario in cui gli umani smetterebbero di lavorare -ma per quello che è il vecchio concetto di lavoro-. Molti però potrebbero rimanere attivi adottando una nuova filosofia, ed è proprio secondo questa che potrebbero cominciare più spesso a sentire di voler “lavorare”.

Il mio percorso

Io alla questione che cosa faccio con il mio tempo? ho avuto la fortuna di arrivarci ben preparato. La disoccupazione è qualcosa che ho cercato e voluto fortemente. Il motivo della mia determinazione è venuto proprio dall’essermi preso del tempo per decidere quale fosse il senso della vita, per che cosa volessi usare la mia.

La risposta che ho trovato, che comunque si è raffinata col tempo e che continua a raffinarsi, è che il senso della vita è l’amore: l’amore che diamo e l’amore che riceviamo. In seconda battuta, il senso della vita consiste anche in esplorare e capire meglio l’universo, godere delle cose belle che esistono, e produrre nuove cose belle.

Questo tipo visione di questo tipo ha avuto effetti in tante aree della mia vita, e ovviamente anche sul mio concetto pratico di lavoro. Il concetto che avevo prima è diventato obsoleto e ormai non più proponibile. Lavoro è diventato aggiungere qualcosa di bello al mondo, e di alta qualità. Favorire la qualità rispetto alla quantità mi sembra imprescindibile a questo punto, visto appunto il grado di saturazione a cui è giunta la produzione umana in moltissime aree, sia di prodotti materiali che immateriali.

Trovo che per me funziona bene, tenere in mente questo principio generale: infatti qualunque sia il progetto specifico a cui decido di dedicarmi (che sia scrivere un articolo, produrre un documentario, costruire una casa…), mi ricorda sempre perché lo sto facendo e come farlo. Il che non comporta certezza di buoni risultati, ma trovo che mi motiva ad agire. È un principio che ha creato e crea con naturalezza attività da inserire nel mio tempo, quando sento di voler “lavorare”. In effetti è difficile ormai etichettarlo come tempo lavorativo o tempo libero, visto che il confine tra i due è irrimediabilmente diventato molto sfumato.

Raccogliere una cartaccia per strada è lavoro? Curare il giardino è lavoro? Anche quando le persone mi chiedono che lavoro fai? non sono proprio sicuro di cosa rispondere, anche se ultimamente me la cavo spesso con un rapido ed elegante “imprenditore”.

Riguardo a quanto lavorare, in questi ultimi anni ho sentito di lavorare sui miei progetti solo qualche ora al giorno, una quantità di tempo piccola che comunque mi ha fatto ottenere diversi risultati che mi sembrano buoni. I motivi per cui non ho lavorato di più sono essenzialmente due: il primo è che, effettivamente, non voglio perdermi tutto il bello che c’è “la fuori” nell’universo (e ce n’è tantissimo) lavorando gran parte del tempo.

Il secondo motivo viene da uno dei miei più grandi conflitti interni, spiegato bene dal famoso mito della caverna di Platone. Detto in breve, ho l’impressione che alcune delle cose più di valore che ho da dare al mondo (ad es. le informazioni utili che ho trovato) spesso al mondo in effetti non interessino granché, per cui spendere tantissime ore a lavorarci intorno forse non ha senso. Allo stesso tempo, non sono sicuro di voler lavorare tanto su qualcosa per cui c’è più interesse, ma che io non “sento” essere il mio forte. Questo è un dubbio che ancora non ho risolto, ma credo comunque che appartenga anche a molte altre persone, per cui non mi sento solo nel conflitto 🙂

In effetti, credo che è attraverso questo tipo di “percorsi” interni (introspezione, come ho scritto sopra) che potrebbe passare la ridefinizione del lavoro nel futuro. Se i lavori sopravviveranno assumendo una forma nuova, abbandonando quella corrente -spesso grottesca- di lavori falsi, tale forma potrebbe essere influita proprio da processi come quello di disidentificazione da parte degli umani con il ruolo lavorativo. Si parla insomma di “rivedere” la relazione con l’ego, una relazione niente affatto… facile.


Note: Seppure affascinante, questo argomento è a dir poco teorico e filosofico. L’articolo potrebbe avere qualche contraddizione, ma credo comunque che contenga diversi spunti utili.

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