How I found freedom in an unfree world, che in italiano diventa “Come ho trovato la libertà in un mondo non libero”, è un libro scritto dall’americano Harry Browne. Quasi del tutto sconosciuto nel nostro paese e introvabile in lingua italiana, fu best seller in America qualche decina di anni fa. In inglese, oggi si riesce comprare abbastanza facilmente online (al momento in cui scrivo si trova addirittura in formato pdf su google, cercando “titolo”+”pdf”).
In questo articolo vi parlo di questo libro e dell’argomento di cui tratta, un argomento importantissimo a cui spesso viene dedicata troppa poca attenzione, a mio parere. L’argomento è la libertà personale.
Loren Howe ha definito How I found freedom in an unfree world come “probabilmente il libro più pericoloso che sia mai stato scritto”, e io sono d’accordo. In effetti io ne sono venuto a conoscenza sentendolo descrivere così, ci ho messo le mani sopra, l’ho letto, ed era vero: la potenza e la bellezza delle idee che contiene non solo mi hanno investito come un treno, ma hanno anche portato dei cambiamenti significativi al mio modo di pensare -prima- e nella mia vita pratica di tutti i giorni -dopo-.
Vorrei far notare che questo non è il classico libro di self-help, infatti, come Browne stesso spiega nell’introduzione, ha scelto il titolo “Come io ho trovato la libertà” piuttosto che “Come trovare la libertà” per dimostrare chiaramente che le idee di cui parla non sono teorie compate in aria, ma che sono realizzabili e possibili perché esiste almeno una persona nella storia che le ha messe in pratica: lui. Lui è riuscito ad aumentare in modo significativo il suo livello di libertà personale. Ecco, con me direi che siamo almeno in due. Ma di me scriverò dopo.
Perché occuparsi di libertà?
La prima cosa da notare è che pochissime persone si preoccupano di aumentare il proprio livello di libertà personale. Quasi tutti vivono accettando come inevitabili una serie di limitazioni che ci vengono imposte dalla società, dal governo, dall’economia, dalla morale pubblica, dai genitori, dagli amici, dalle credenze diffuse. Tutte queste cause possono limitare la nostra libertà in vari modi, creando quelle che Harry Browne chiama trappole. Trappole in cui tutti, a un certo punto della nostra vita, ci ritroviamo incastrati.
Un punto validissimo che presenta Browne è nell’affermazione che, è vero, una vita completamente libera al 100% dai condizionamenti di questi attori è irrealizzabile nel mondo reale. Però, è altrettando vero che oggi molte persone accettano di vivere con un grado di libertà del 20%, del 30%, quando aumentarla fino al 80%, al 90% è possibile. È possibile. E un tale aumento del grado di libertà porta delle conseguenze positive enormi nella vita.
Per questo motivo l’autore analizza nel corso del suo libro le trappole, una ad una, quelle in cui più frequentemente ci troviamo incastrati e quelle che in maniera più significativa ci opprimono, spiegando con una semplicità disarmante che non c’è nessun motivo per restarci incastrati dentro: essere liberi è semplice quanto aprire le “tagliole” e volarsene via.
Crea il tuo mondo libero personale
Prima di commentare alcune delle trappole più clamorose che Browne smaschera nel suo libro, voglio cercare di riassumere il messaggio complessivo di How I found freedom in an unfree world, per come lo intendo io. Il messaggio è il seguente:
Non aspettare che cambi il mondo intero, prima di poter essere libero. Non cercare tu di cambiare il mondo intero, prima di poter essere libero. Anche in un pianeta pieno di problemi, persone non libere, dogmi e strutture di controllo enormi e apparentemente molto potenti, tu puoi essere libero adesso: tutto quel che devi fare è creare intorno a te un sottoinsieme di questo pianeta in cui minimizzi l’intervento (o in cui escludi completamente l’intervento, quando possibile) di quei soggetti che diminuiscono la tua libertà.
Tu puoi essere libero anche se il resto del mondo non lo è, che è poi di fatto il titolo del libro.
Considera che nel mondo ci saranno ancora guerre, governi corrotti, famiglie infelici, relazioni abusive, ingiustizie per un bel pezzo. Forse per sempre. Non ha senso vivere la vita ripetendo “se solo non fosse per le tasse/mia moglie/il lavoro/i giudizi… allora sarei libero”. Quel che ha senso invece, una volta individuata una causa che limita la tua libertà, è prendere decisioni positive che ti permettano di ridurre il più possibile l’influenza di tale causa sul tuo mondo personale, un mondo che puoi popolare principalmente con persone e strutture che agiscono in linea con i tuoi valori.
Questo è un punto cruciale: non possiamo decidere come i nostri familiari, i nostri amici, i nostri colleghi, la nostra banca, il nostro governo, si comportano con noi. Però possiamo certamente decidere come comportarci noi nei loro confronti. Soprattutto, possiamo fare scelte che regolino l’intensità con cui questi soggetti sono presenti e influenti nella nostra vita.
E questa regolazione possiamo farla perché abbiamo a disposizione uno strumento di una potenza enorme: il potere di prendere decisioni positive.
Cos’è una decisione positiva?
Una decisione positiva è quella in cui scegli tra le alternative in modo da massimizzare la tua felicità. Un esempio potrebbe essere quello in cui scegli se saresti più felice andando al cinema o a teatro.
Invece, una decisione negativa è quella in cui scegli tra le alternative in modo da minimizzare la tua infelicità. Un esempio potrebbe essere quello in cui decidi tra riparare il tuo tetto, che perde, e lo svuotare il tuo conto in banca.
Come scrive Browne, la caratteristica tipica di una persona libera è che passa gran parte del suo tempo prendendo decisioni positive.
Sfortunatamente invece, gran parte delle persone passa molto del proprio tempo prendendo decisioni negative, valutando quali alternative sono le meno spiacevoli, provando a non far peggiorare le cose. Vivono la vita come una continua corsa al ribasso.
Il motivo per cui molti insistono su questo secondo tipo di decisioni è che sono incastrati nelle trappole. Credenze diffuse, che seppure spesso ci vengono insegnate e ripetute fin da bambini, in realtà non hanno alcun senso. Queste trappole esistono finché esiste l’inconsapevolezza di avere a disposizione moltissime alternative diverse, ogni volta che facciamo una scelta.
Vediamo allora alcune tra le mie preferite, nel seguito un po’ riprendo le idee del libro e un po’ aggiungo le mie interpretazioni.
1. La trappola del precedente investimento
La trappola del precedente investimento consiste nel credere che siccome in passato si è investita una certa quantità di risorse (tempo, denaro, sforzi) in un’attività, in una relazione, nell’acquisizione di un oggetto, tale investimento fatto nel passato deve condizionare il modo in cui gestisco la attività/relazione/oggetto anche nel presente.
In verità, le risorse hanno valore solo fino a quando non vengono spese. Dopo che vengono spese, diventano completamente ininfluenti.
Qui uso subito un esempio personale: la mia carriera. Ho passato anni all’università per prendere una laurea difficile e tenuta molto ben in considerazione nel mondo del lavoro: ingegneria. Ho studiato tantissime ore, speso soldi per comprare libri e pagare le rette universitarie. Dopo la laurea, seguendo la tendenza comune (“laureati e poi esci e cercati un lavoro”), ho trovato un lavoro in una corporazione prestigiosa, ottenendo quello che all’epoca consideravo un posto da sogno.
Invece, nonostante i benefit, nonostante le possibilità di carriera, nonostante tutti mi ripetessero quanto fossi fortunato, dopo qualche anno mi sono reso conto che quel tipo di lavoro mi rendeva infelice. Non avevo niente a che fare con quell’ambiente, niente a che fare con le persone che ci lavoravano, e niente a che fare con i valori comuni in quel giro. Inoltre, avevo capito che seppure ritenevo -e ritengo- utilissimo quanto appreso negli studi di ingegneria, volevo proprio lavorare in un altro settore.
Se fossi rimasto nella trappola del precedente investimento, non avrei dovuto abbandonare quella carriera perché altrimenti avrei “sprecato” tutti gli anni di studio. Questo è infatti quel che mi hanno ripetuto parenti, amici e conoscenti.
Ma la domanda è, esattamente, in che modo continuare a fare un lavoro che odiavo avrebbe resuscitato quegli anni di studio? Mi avrebbe ridato indietro le ore spese sui libri, o i soldi delle rette universitarie? No. Una volta realizzato che il lavoro era una sorgente di infelicità, la scelta era semplicemente tra aggiungere altri anni di infelicità o accettare serenamente di aver imboccato il percorso sbagliato, licenziarmi e iniziare da quel punto in poi un nuovo percorso più in linea con i miei valori e in cui trovare più probabilmente la felicità.
Altri esempi sono facili.
Se hai investito 20 anni in un matrimonio e adesso ti sei reso conto che quel matrimonio ti rende infelice, devi continuare a restarci dentro per non “sprecare” il tempo che ci hai investito in precedenza? No: ha più senso accettare la nuova situazione, risparmiarti altri anni di sofferenza e chiudere. Magari la vita ha in serbo per te una nuova relazione, e puoi essere felice almeno da quel momento in poi.
Se hai speso soldi, tempo e sforzi per comprare e ristrutturare una casa, e dopo molti anni ti accorgi che per qualunque motivo non sei felice in quella casa, devi continuare a viverci per “legittimare” le risorse che hai investito in passato? Quelle risorse sono comunque perse: puoi vendere la casa e andare a vivere altrove, dove puoi essere felice da quel momento in poi.
2. La trappola dell’utopia
La trappola dell’utopia consiste nel credere che è necessario cambiare il mondo, allineandolo ai nostri standard di luogo piacevole, e cambiare gli altri, convincendoli a condividere le nostre idee, prima di poter essere liberi.
E’ facile cadere in questa trappola perché molto spesso vediamo cose che secondo noi sono sbagliate, ad esempio: leggi inique che vengono approvate, comportamenti maliziosi di chi ha il potere, menzogne che vengono diffuse. La nostra reazione spesso è di lottare per contrastare queste cose, discutendone animatamente con gli altri, facendo dibattiti, salendo sui palchi per tenere comizi, facendo marce di protesta. In effetti, la politica è la destinazione più classica di chi è incastrato nella trappola dell’utopia.
Quel che tipicamente proviamo a fare è convincere gli altri ad abbracciare le nostre posizioni, perché vogliamo creare un mondo migliore, in cui poi potremo finalmente sentirci liberi.
Ebbene, la verità è che questo comportamento non solo conduce molto spesso a frustrazioni, non solo ti fa sprecare molto del tuo tempo prezioso, che invece potresti usare per godere della tua libertà personale, ma soprattutto non è necessario.
Perché cercare di convincere gli altri non è la strategia migliore? Semplicemente perché tutti noi siamo diversi e vediamo il mondo ciascuno in una maniera diversa. Non importa quanto a te sembri giusto, vero e ragionevole un argomento. Né importa quanto solide ed evidenti siano le prove a sostegno della tua posizione. Troverai una quantità di persone che ignoreranno il tuo argomento o addirittura lo contrasteranno, per quanto bravo tu sia a sostenere le tue tesi.
Pensare che quel che è vero per te sia anche vero per gli altri significa cadere in un’altra trappola, la trappola dell’identità, ovvero l’errore di pensare che le altre persone interpretino i fatti alla stessa maniera in cui fai tu.
Io nella trappola dell’utopia ci ho passato tantissimo tempo, e ho avuto abbondante esperienza della frustrazione a cui porta. Per esempio, ho passato anni a cercare di convincere parenti e amici a adottare una sana alimentazione, a fargli evitare comportamenti autolesionistici (come il fumo), a condividere le mie posizioni politiche, filosofiche, spirituali. E ogni volta, dopo aver fornito con enfasi prove, motivazioni e spiegazioni, rimanevo decisamente sorpreso, in negativo, di quanto poco i miei suggerimenti venissero recepiti.
Quel che ho capito con il tempo, e di cui ho avuto definitiva conferma leggendo il libro di Browne, è che cambiare le opinioni e i comportamenti delle persone in generale è sì possibile, ma ci sono due approcci diversi di farlo, e il primo è meno intelligente, il secondo è più intelligente.
Il modo meno intelligente di produrre cambiamento si esplica appunto in questa frase: cercare di convincere gli altri. Raramente porta a dei risultati. Le persone non cambiano semplicemente perché tu le spingi a cambiare. Alcuni non cambiano mai nel corso della loro vita, altri cambiano, ma solo quando saranno pronti e quando sarà il momento.
Il secondo metodo è senz’altro una strategia migliore, e spiega perché pochi paragrafi fa ho scritto che creare un mondo ideale, un’utopia, per poter essere liberi non è necessario.
Questo metodo consiste innanzitutto nell’occuparsi della nostra propria libertà, assicurarsi di essere felici e pienamente soddisfatti. Vivere secondo i nostri principi e godere dei conseguenti benefici. Dopodiché, invece che fare pressioni per convincere gli altri, dargli delle indicazioni. Magari anche solo con il nostro esempio.
Chi sarà interessato alle indicazioni che diamo, probabilmente le seguirà. Se saremo fortunati potremo anche relazionarci con queste persone e godere della somiglianza di vedute. Invece, non ha senso sprecare il nostro tempo e le nostre energie cercando di recapitare quei messaggi a chi non è pronto a riceverli.
Se poi nel mondo arriverà il momento in cui una massa critica di persone, individualmente, saranno pronte a capire un certo messaggio che per noi è valido, allora probabilmente si produrrà un cambiamento globale nella direzione che a noi sembra “buona”. Ma nel frattempo, è importante dare priorità alla nostra libertà personale, senza posticiparla continuamente in attesa che si realizzi un’utopia.
La politica produce cambiamento?
Da notare, come conseguenza della trappola dell’utopia, che la politica è uno strumento di cambiamento spesso molto inefficiente, visto che si fonda proprio sulla capacità di convincere gli altri. La professione di politico stessa, soprattutto nelle democrazie, inizia solo dopo aver convinto una certa quantità di persone a dare il loro voto a questo o quell’altro partito.
Io credo che il ruolo della politica venga frainteso da molti, e soprattutto che spesso gli venga attribuita un’importanza esagerata rispetto ad altri fattori che invece sono più determinanti per produrre cambiamenti nella società. Qui un approfondimento sul ruolo della politica.
3. La trappola del governo
Harry Browne definisce il governo un “argomento affascinante”. Immagino abbia concentrato il suo spirito d’osservazione soprattutto sull’operato del suo governo, quello americano. Credo che se avesse assistito all’operato di quello italiano avrebbe scritto più o meno le stesse cose, ma mi domando se avrebbe resistito ad aggiungere una vena comica, considerata la gran quantità di nani, giocolieri, burlesque, e trucidi che popolano il panorama politico tricolore.
Quel che scrive Browne in How I found freedom in an unfree world può risultare addirittura scioccante a una prima lettura, specie considerando che siamo da sempre abituati al fatto che ci sia un governo, a rivolgerci al governo quando abbiamo dei problemi, a credere che il governo eserciti delle azioni socialmente utili.
Ma è proprio così? Il governo aggiunge o sottrae valore alle nostre vite?
Browne lo scrive piuttosto chiaramente: il governo di solito crea problemi, più che risolverli. Se un governo che oggi è composto da n rappresentanti domani raddoppiasse la sua dimensione e diventasse di 2n rappresentanti, non solo non diminuirebbero i problemi, ma probabilmente ne nascerebbero di molti nuovi.
Perché ciò dovrebbe succedere? Semplicemente perché il governo interviene sul libero mercato, ovvero su quel posto in cui i cittadini scambiano beni e servizi in accordo con i propri desideri, passando sopra la volontà dei cittadini e “drogando” l’offerta. Questo è in sintesi quello che fa un governo: esercita un’azione che è a tutti gli effetti coercitiva nei confronti dei singoli individui.
Tanto per fare un esempio pratico, relativo al periodo in cui scrivo questo articolo, in Italia esiste una compagnia aerea che non funziona affatto nel mercato. I clienti preferiscono volare con altre compagnie, più economiche e che rispondono meglio alle loro esigenze. Nonostante ciò, il governo italiano continua a sovvenzionare questa compagnia malfunzionante, in perdita da molti anni, usando i soldi delle tasse. In questo modo protegge gli interessi di pochi gruppi di potere ad essa collegati.
Di fatto, il libero mercato sta indicando che questa compagnia debba chiudere. Se non ci fosse l’intervento drogante del governo, la compagnia inefficiente chiuderebbe e si creerebbero le opportunità e lo spazio per dare la possibilità di nascere a nuove realtà nel mondo del trasporto aereo passeggeri, che potrebbero portare innovazione e fornire un servizio migliore ai clienti.
Si possono fare molti esempi di questo tipo, che portano sempre alla stessa conclusione: il governo è un gruppo di persone che non sa esattamente cosa desidera il singolo cittadino, e non è interessato a risolverne i problemi, o non ne è capace.
Come scrisse Voltaire: l’arte del governare consiste nel prendere il più soldi possibile da una classe di cittadini per darla ad un’altra.
Il punto brillante che sviluppa Harry Browne è sul come difendersi dalle azioni coercitive del governo. Spesso ci sembra un’entità così grande e potente che noi non abbiamo alcuna possibilità di essere liberi dai suoi vincoli, i suoi obblighi, le sue tasse.
Ebbene qui si esprime un concetto importante, che vale non solo per il governo, ma anche per tutte le altre strutture oppressive di grandi dimensioni: queste strutture di controllo che cercano di limitare la nostra libertà personale sono grandi e lente, mentre noi in quanto individui siamo piccoli e veloci. Sfruttando questa caratteristica di essere piccoli e veloci, possiamo ancora riuscire bene nella nostra missione di vivere in un mondo prevalentemente libero.
Bisogna sempre ricordare infatti che abbiamo la possibilità di prendere decisioni positive. Ad esempio, per evitare le tasse alte che impone un governo, non dobbiamo necessariamente ricorrere all’evasione o impegnarci in una lotta politica per ridurle: possiamo semplicemente scegliere un lavoro il cui livello di tassazione sia più basso, oppure scegliere un paese in cui le tasse siano più basse.
Io ad esempio trovo insensata la tendenza dei giornali, molto diffusa in questo periodo in cui il governo italiano applica tasse altissime agli imprenditori, di dare meriti e scrivere in termini positivi degli imprenditori che “resistono”, continuando a portare avanti la loro attività in Italia seppure con molti sforzi aggiuntivi e lavorando più duramente.
Quello che fanno, in realtà, è lodare l’attitudine alla schiavitù di questi imprenditori che resistono. Francamente, non trovo molto senso nel voler continuare a dare capocciate al muro, restando legati a un governo che diventa progressivamente più abusivo, in nome del “continuare a produrre in Italia”.
Vedo invece molto più senso nella scelta che fanno altri imprenditori (sui quali viene ovviamente puntata una luce negativa dai media, figuriamoci) di spostarsi all’estero, portando gli stabilimenti di produzione in paesi in cui la tassazione è più favorevole.
Quest’ultima assomiglia molto di più a una decisione positiva.
4. La trappola dell’altruismo
Nessuno ti conosce bene come te stesso. Non tua madre. Non i tuoi figli. Non tua moglie. Non i tuoi amici. Non la banca. Non il governo. Sei tu sei quello che ti conosce meglio.
Cosa discende da questa affermazione? Che nessuno al mondo sa meglio di te sa di cosa hai bisogno per essere felice. Tu sei la persona migliore a cui rivolgerti. Concentrarsi invece sugli altri, tua moglie o il governo, aspettandosi che agiscano in modo altruistico e ti rendano felice è una strategia poco sensata. Anche se fossero mossi dal reale desiderio di farti felice, hanno minori possibilità di te stesso di riuscirci, semplicemente perché non sono te.
Questo vale anche nell’altra direzione: siamo stati istruiti ad essere altruisti e a non essere egoisti, quando ha senso fare tutto il contrario. Vivere la tua vita anteponendo indiscriminatamente la felicità degli altri alla tua felicità personale, non solo renderà infelice te, ma molto spesso non renderà nemmeno felici gli altri. Perché gli altri hanno bisogno di cose diverse da quelle che pensi tu, per essere felici.
In effetti, io ho osservato che spesso è molto più piacevole stare intorno a persone naturalmente concentrate sulla propria felicità, come i bambini. I bambini non sono ancora stati addestrati a fare scelte contrarie ai propri interessi per evitare di essere considerati egoisti.
Questo non significa che a volte non sia piacevole agire in modo da rendere felici le persone che abbiamo vicino, anche perché poi della loro felicità possiamo beneficiare anche noi, ma quel che sicuramente non ha senso è farlo indiscriminatamente e spinti dalla paura di risultare egoisti, altrimenti.
5. La trappola della scatola
Con scatola Harry Browne intende qualunque situazione di discomfort in cui ti trovi e che limità la tua libertà personale.
Potrebbe essere un lavoro che non ti gratifica più, un pranzo rituale con parenti tediosi, un obbligo sociale a cui ti senti obbligato a partecipare.
Il punto espresso riguardo questa trappola è molto semplice, e non è nemmeno una rivelazione scioccante, ma è il risalto che viene dato al seguente concetto, che secondo me è molto appropriato.
Il concetto è questo: tutto ha un prezzo. C’è un prezzo per cambiare le cose e uscire dalla scatola, ma c’è un prezzo da pagare anche per non cambiare le cose e restare dentro la scatola. Questo secondo prezzo lo paghi a rate, giorno per giorno, per tutto il tempo in cui rimani dentro.
Quel che accade è che molta gente accetta una limitazione della propria libertà personale perché pensa che il prezzo da pagare per uscire dalla scatola sia troppo alto, ma secondo me il vero motivo per cui restano chiusi dentro è che molti falliscono nell’individuare la vera identità del prezzo.
Uso di nuovo il mio esempio personale dell’aver abbandonato la mia precedente carriera. Quando stavo valutando se lasciare o no, mi sono preso un po’ di tempo per riflettere sullo scenario a cui effettivamente sarei andato incontro procedendo nella direzione di lasciare. Ho capito che il prezzo -per me- più pesante necessario per liberarmi del lavoro che odiavo non era l’incertezza di cosa fare dopo, o le possibili difficoltà economiche a cui sarei andato incontro, ma la forte opposizione di parenti e amici, e la sofferenza che avrei causato ai miei genitori.
Fatti due conti e “girato” lo scenario in anticipo nella mia testa, ho deciso che ero ben disponibile a pagare questo prezzo per liberarmi dalla mia scatola. In realtà, chiarii bene con me stesso che attribuivo un valore così alto alla possibilità di riappropriarmi del mio tempo e della possibilità di fare un lavoro per cui avessi passione, che avrei pagato molto di più di così.
Questo è di nuovo un esempio professionale, ma è facile estendere agli altri campi: relazioni sentimentali, impegni sociali, obblighi morali, e via dicendo.
In generale, come Browne suggerisce, quando si valuta la possibilità di uscire da una scatola, conviene anticipare mentalmente i possibili scenari che potrebbero verificarsi in questa operazione, tutti quanti, e valutare come reagire di fronte a ciascuno di essi.
Ci sono sempre tanti, spesso tantissimi, prezzi diversi che si possono pagare per uscire delle scatole in modo da aumentare significativamente la nostra libertà personale: coltiva l’arte di cercare i prezzi ogni volta che ti accorgi di una situazione di discomfort.
6. La trappola dei diritti
La trappola dei diritti è un concetto in cui Harry Browne veramente brilla, perché esprime un’idea molto semplice e molto originale, ma soprattutto che ho trovato decisamente intelligente.
La trappola dei diritti consiste nel credere che i tuoi diritti ti faranno ottenere quel che desideri. Classico esempio: quanto spesso sentiamo discutere di diritti civili? E quanti di noi sono cresciuti con la convinzione di avere diritto alla proprietà, o ad essere trattati con rispetto, o ad avere un lavoro?
Il punto più interessante riguardo ai diritti è questo: implicano l’esistenza di qualcuno che non ce li vuole concedere. Altrimenti, non se ne parlerebbe proprio.
Una coppia omosessuale non invocherebbe i diritti civili, se non ci fossero altri che non vogliono sia approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Un lavoratore precario non invocherebbe il diritto al lavoro, se non ci fosse un imprenditore che vuole licenziarlo. Un affittuario non invocherebbe il diritto alla casa, se non ci fosse il proprietario che vuole sfrattarlo.
In realtà, Browne prende in considerazione tre diversi modi per ottenere quello che vogliamo:
1. Appellarci ai nostri diritti
2. Fare in modo che quel che vogliamo sia nell’interesse anche dell’altra persona
3. Ottenere quel che vogliamo facendo in modo che l’altra persona non rientri affatto nella faccenda
In accordo con l’autore, anche io mi sono trovato spesso in situazioni in cui ho sperimentato che il secondo e terzo metodo funzionano meglio. Affidarsi ai diritti spesso si traduce in chiedere sostegno al governo, ad associazioni, a gruppi di difesa, che producono risultati non soddisfacenti (a volte persino nulli), specie considerando gli sforzi profusi, appunto, nella “battaglia per il riconoscimento dei diritti”. Questo è un insieme di parole che si sente spesso.
Un esempio molto calzante è proprio il matrimonio per le coppie omosessuali. In Italia e nel momento in cui scrivo ad esempio, non è ancora legalmente riconosciuto. Periodicamente e infruttuosamente, parte la discussione tra chi vorrebbe una legge che lo approvasse (“sarebbe un segno di civiltà”), e chi si oppone in quanto non accettabile secondo i loro valori. Ogni tot di tempo c’è una marcia di protesta, una manifestazione, un talk show in televisione in cui si riaccende la fiamma.
Il realtà, per le coppie omosessuali che vogliano sposarsi esiste una soluzione più semplice (tra l’altro perfettamente sensata anche per le coppie eterosessuali), che rientra nella modalità 3: ottenere il matrimonio senza che l’oppositore rientri affatto nella faccenda. Possibile? Eccome.
A pensarci, avrebbe senso che il matrimonio fosse un contratto a due, perché due sono le persone che si amano e che vogliono convolare a nozze.
Invece, con il matrimonio molte persone cercano di dare vita a un contratto a tre, a volte persino a quattro. Il contratto a tre coinvolge gli sposi più un’entità religiosa, oppure gli sposi più un’entità del governo. Il contratto a quattro coinvolge gli sposi più l’entità religiosa più l’entità del governo (puro masochismo?).
In realtà non c’è alcun bisogno di coinvolgere nel matrimonio la religione o il governo: se volete sposarvi fatelo, con una festa davanti agli amici, ai parenti, a chi vi vuole bene, senza la necessità di un’entità esterna che vi dia il “permesso” o la sua approvazione ad essere uniti. Potreste far celebrare la cerimonia persino a un bambino o a un amico che vi conosce e vi vuole bene, per voi non ha più autorità quello che uno sconosciuto in divisa?
Dietro la richiesta di una legge che approvi il matrimonio omosessuale spesso si nasconde, da parte degli omosessuali, la speranza che dopo l’approvazione di una tale legge venga riconosciuta la loro identità e diminuisca così l’intolleranza o i comportamenti omofobi, ma non è così. Se sei omosessuale, chi ti odia in quanto tale continuerà a farlo anche se il matrimonio omosessuale diventa legale. E’ molto probabile che non riuscirai a farlo smettere facendo leva sui tuoi diritti, in compenso hai ottime possibilità di riuscire a farlo stare fuori dalla tua vita.
Non è meraviglioso?
Le altre trappole
Ci sono diverse altre trappole, tipiche limitazioni alla nostra libertà personale, che Harry Browne discute intelligentemente in How I found freedom in an unfree world.
Molte di queste in effetti discendono da due trappole fondamentali:
– la trappola dell’identità, che in effetti l’autore presenta per prima nel suo libro, che consiste nella credenza che tu debba essere qualcuno di diverso da te stesso, e nell’assunzione che gli altri faranno le cose nel modo in cui tu le faresti.
– la trappola del gruppo, ossia la credenza che tu possa raggiungere meglio i tuoi obiettivi condividendo responsabilità, sforzi e ricompense con altri, rispetto a quanto tu possa fare agendo da solo.
Evito di entrare nei dettagli di tutte le trappole perché altrimenti, preso dal mio entusiasmo per questo libro -che considero preziosissimo-, probabilmente finirei per scriverne una seconda versione. Chiudo invece, oltre che con il suggerimento di mettere le mani sull’opera il prima possibile, con un ultimo messaggio che ritengo importante.
La tua libertà è compito tuo
In questo articolo ho associato spesso l’aggettivo “personale” alla parola libertà, per un motivo preciso: il responsabile della tua libertà sei tu e nessun altro. Non affidarla al governo, ai tuoi figli, al tuo partner, a nessuna delle persone a te più vicine.
Tu arrivi su questo mondo e ci trovi dentro dei programmi, delle strutture, degli schemi di pensiero già preconfezionati da chi ci è passato prima di te. Trovi un governo fatto in un certo modo, una morale pubblica intesa in un certo modo, relazioni sociali concepite in un certo modo.
Tu non hai nessun dovere di accettare questi modi.
Libertà significa vivere la tua vita nel modo in cui tu vuoi viverla. Non significa viverla come io, Paolo, ti dico, come Harry Browne ti dice, o chiunque altro. Tu ti puoi conoscere più profondamente di chiunque altro (conosci te stesso, enorme saggezza dall’antica grecia): usa questa conoscenza per selezionare la parte del mondo di cui hai bisogno per essere libero.
Buona fortuna!
… e io?
Io ho letto How I found freedom in an unfree world da qualche anno ormai. Come ho scritto all’inizio, le sue idee hanno portato dei cambiamenti evidenti al mio modo di vedere e fare le cose. Alcuni di questi cambiamenti sono:
– ho lasciato il lavoro corporativo per diventare imprenditore, oggi mi concentro soprattutto su lavori che mi appassionano, facendo sempre attenzione ad avere una buona quantità di tempo libero. Riesco serenamente a dire che preferisco lavorare poche ore al giorno, senza sentirmi in colpa perché non sono “produttivo”, una sorta di dovere che invece sentivo fino a qualche tempo fa.
– ho diminuito il tempo speso a cercare di convincere gli altri, stressandomi, e ho fatto pace con l’idea che molte persone semplicemente non voglio essere aiutate. Continuo a trovare divertente l’attivismo politico e sociale, ma lo faccio con uno spirito diverso e più mirato.
– ho coscientemente allentato alcune relazioni con amici e conoscenti di vecchia data, poco interessati ad essere liberi, e ho avuto la fortuna di iniziarne di nuove con persone più vicine ai miei valori. Ho anche imparato che per quanto, tanto, io voglia bene ai miei genitori, a mia sorella, ai miei amici più vicini, a volte sono proprio loro gli ostacoli più insidiosi tra me e la mia libertà. Ho imparato a combatterli con determinazione, quando riconosco che i loro consigli sono basati sulla paura.
– osservo quello che fa il governo con interesse, e ne chiacchiero e scherzo con gli amici… ma intanto vado avanti con i miei progetti.
– ho aumentato considerevolmente il mio livello di onestà, anche se per adesso sono ancora lontano dal livello di onestà del 100% a cui aspiro. Il libro di Harry Browne mi ha fatto capire, ancora di più, come l’essere se stessi sia uno degli strumenti più potenti per arrivare alla libertà, ma anche uno dei più raramente usati nel pianeta. Questo è un cantiere aperto molto grande per me, in cui sto lavorando (dando parecchie capocciate).
In generale, riconosco che la lettura del libro ha sortito su di me gli effetti che ora faccio più introspezione, dò più ascolto al mio intuito, e certamente ho sviluppato un sano senso critico nei confronti delle grandi istituzioni, soprattutto politiche, bancarie, farmaceutiche, religiose.
Sia ben chiaro, ho ancora un sacco di lavoro da fare. Tanto. Aumentare la propria libertà significa infatti lavoro duro. Ma io uso questo libro come guida, e mi è di grandissimo aiuto.